Honoré de Balzac, autore infinito della comédie humaine  di cui raccontava tutto nei minimi dettagli ai malcapitati che gli capitavano a tiro nei suoi giri a piedi, in osteria una volta schiacciò di netto un aspirante letterato definendosi gloriosamente “il maresciallo della letteratura moderna”; morì di colpo apoplettico a cinquanta anni mentre lavorava nel suo studio. Per lavorare in maniera quanto più consona ai personaggi a cui dava vita (György Lukács rappresentò il mondo della commedia umana come un insieme di cerchi complessi, ciascuno di essi composti nella loro circonferenza da minuscoli orizzonti, anche essi concentrici; una definizione che risentiva decisamente della sua formazione hegeliana) di cui conosceva per filo e per segno inizio, sviluppo e fine (il commovente père Goriot o il parvenu destinato a fallire delle Illusions perdues, Lucien Chardon) amava circondarsi di bellezze, profumi, piante; nel suo studio lavorava con una vestaglia impreziosita, aveva numerosi bracciali e medaglioni (tra i quali il famoso che riportava la scritta “io sono lo spezzatore di tutti gli ostacoli”). Era un amante barocco della bellezza, di quella corposa e insopportabile, come del resto i suoi romanzi; provate a leggere i rendiconti contabili o anche le digressioni sulla storia di Francia nelle Illusioni Perdute, sentireste il bisogno impellente di leggere Baricco o altri autori televisivi, insomma poco significativi dal punto di vista dell’efficacia di rappresentazione di quel grande organismo sociale che, ritornando agli scritti letterari di Lukács, viene meglio messo in atto nei romanzi dei grandi, Balzac e anche, ma in maniera diversa, nel decadente e dimissionario   Dostoevskij. L a vera letteratura, come mi è stato possibile capire e studiare durante i miei studi passati, non semplicemente si limita a rappresentare una realtà scissa dal soggetto, come è ad esempio il mondo di Cartestio, o anche quello basilare della filosofia aristotelica in cui una proposizione giusta è quella che incarna in sé adaequatio rei et intellectus; la realtà sociale è un grande animale di cui noi e le nostre credenze sono organi connessi dialetticamente (Hegel). Banalmente questo vuol dire che non ci sono io e poi quello che dicono gli altri e devo stare attento a non farmi influenzare, anzi io sono detto dalle credenze sociali, dalle istituzioni, dalle voci sociali (citando Bachtin, che conosco abbastanza bene) che ancor prima (essenzialmente non esiste un prima e un dopo, la temporalità prevede un arresto nell’essere, il rapporto dialettico è invece da sempre in atto) che io dica o pensi mi fanno nella mia essenza di processo in continuo cambiamento. Non ci deve meravigliare il fatto che quando si parla di vera Letteratura si faccia sempre riferimento ai poveracci di  Dostoevskij (e qui Bachtin insiste parecchio sull’efficacia del polilinguismo della sua arte, in quanto se ci sono tante voci e così tante idee la realtà esterna è adeguata alla scrittura letteraria, vedi il celebre Dostoevskij. Poetica e stilistica) o altri grandi esempi. La realtà deve rispecchiarsi nell’organismo del testo letterario in cui anche i personaggi sono tra loro dialetticamente connessi, un mondo di cerchi atomicamente composti di altrettante circonferenze e forse così all’infinito come nella teoria del frattale. Tutto questo preambolo per cosa? Il titolo riporta giustamente a Baudelaire e a quel suo cuore mai del tutto espresso come egli voleva, per il quale spesso non rimaneva che rinchiudersi a doppia mandata nella sua stanza, tenuta spesso indebitamente, senza soldi e seguendo Pascal quando dice che la maggior part degli uomini non riesce a fare i patti con la solitudine inevitabile e a risolvere i suoi problemi chiusi e lontano dal mondo. Pascal tuttavia, come ho avuto modo di vedere in questi giorni, scrutando i suoi Pensées, non era così misantropo, anzi; a volte stupisce nella sua dolcezza, come quando dice “bisogna avere la stima delle persone più tenere e amabili” oppure “è gente senza cuore meglio evitare”. Certo tutto questo cozza con gli studi sulle coniche oppure sull’invenzione della macchina calcolatrice o anche con la sua non ben chiara posizione sull’amore (Il naso di Cleopatra? L’amore nei Pensieri ha come riferimento cardine questa figura storica, cosa sarebbe stato il mondo senza il suo naso? L’autore inoltre insiste sulle qualità esteriori, tipo quelle accidentali, nella riflessione sull’Io infatti si chiede se quando amiamo una persona ci volgiamo verso la sostanza o verso i suoi orpelli passeggeri, ne conclude pessimisticamente che una ci piace solo quando è truccata, o cosa del genere). Torniamo a Baudelarie e chiariamo il perché del mio riferimento alla letteratura francese del realismo. Non mi ricordo se ieri o l’altro ieri ho scritto e ho riflettuto prima di allegare la biografia di Carla Cerati, ripresa dal sito personale della fotografa e poi a seguire ho incollato qualche corpo svelato; parlavo del senso della scelta in relazione ai suoi effetti più deleteri, ad esempio la nevrosi e così facendo io, Giovanni Sacchitelli, parlavo di me stesso; dicevo che sono del segno della Vergine (11 Settembre) e che quella mattina mi ero svegliato parlando del perché osservavo in maniera fissa le foto di Gianni Berengo Gardin (per farvi un’idea dell’imponenza di questo artista, osservate quello scatto fatto a Venezia a partire da una delle calle che si innestano in piazza San Marco, nella quale foto si osserva il muso pallido e ferroso di una nave da crociera che con la sua faccia bigia e inepressiva penetra nel nostro sguardo e nella storia della Venezia di Casanova) o le foto di Canova da parte di Mimmo Jodice. Lo faccio perché voglio non essere me stesso. Così anche stamattina, per scrivere infatti ho avuto bisogno prima di tirare giù gli avvolgibili poi mi è venuta una tristezza invernale, così le ho rialzate, mi sono inquadrato nella griglia degli editor del sito e ho iniziato a scrivere. Si capisce perciò il riferimento a Balzac, al fatto che per lavorare aveva bisogno di immergersi in una natura arficiale e lussuosa, certo io non vivo nelle sue stesse condizioni, ma per immaginarlo almeno sono costretto ad alzare gli avvolgibili. Non indosso un medaglione, anzi sono in pigiama però davanti alle idee bisogna sempre presentarsi in modo giusto, dovrei forse mettermi una camicia, ma se avessi indossato una cosa diversa forse avrei parlato di altro o di niente, mi capita talvolta. Baudelaire. Si possono dire tante cose su questo autore, che riguardano ancora la mia vita privata e del perché anche io mi sono fatto travolgere durante la mia adolescenza culturale dai fiori del male. Baudelaire piace ai radical chic perché soddisfa la loro brama infantile (e inferiore rispetto alle idee autentiche dell’autore francese, che era davvero intelligente, pensate che quando si mise a tradurre Poe gli amici pensandolo un inconcludente si meravigliarono della sua capacità millesima di concentrazione) di trattare male (o almeno nelle intenzioni)il genere femminile offendendolo, così come si fa con le prostitute. Date le ristrettezze di spazio, non posso fare mica un microsaggio, è un articolo di giornale culturale, riporto un brano Baudeleriano a caso, che mi ha colpito per la sua concettosità, lascio a voi l’interpretazione e ci vediamo un altro giorno per parlare ancora del poeta maledetto.

Il brano tratto dai Diari Intimi 

Commosso al contatto di quelle voluttà che somigliano a dei ricordi, intenerito dal pensiero d’un passato trascorso male, di tante colpe, di tante controversie, di tante cose da nascondersi reciprocamente, si mise a piangere; e le sue lacrime calde gocciolarono nelle tenebre sulla spalla nuda della sua cara e sempre attraente amante. Lei trasalì; si sentì, anch’essa, intenerita e irrequieta. Le tenebre rassicuravano la sua vanità e il suo dandismo di donna fredda. Questi due esseri decaduti, ma ancora sofferenti del loro avanzo di nobiltà, s’abbracciarono spontaneamente, confondendo nella pioggia delle loro lacrime e dei loro baci le tristezze del proprio passato, con le loro speranze assai incerte dell’avvenire. È presumibile che mai per essi la voluttà fu così dolce come in quella notte di malinconia e di carità; voluttà saturata di dolore e di rimorsi.

Attraverso la nerezza della notte, lui aveva guardato dietro a sé negli anni profondi, poi s’era gettato nelle braccia della sua amica colpevole per ritrovarvi il perdono ch’ella gli accordava.

– Hugo pensa spesso a Prometeo. S’applica un avvoltoio immaginario su di un petto che è lancinato solo dai cauteri della vanità. Poi l’allucinazione che si complica, che varia, ma seguendo la marcia progressiva descritta dai medici, egli crede che per un fiat della Provvidenza, Sant’Elena abbia preso il posto di Jersey. [Charles Baudelaire, Diari Intimi]

Questo articolo è stato scritto per intero da Giovanni Sacchitelli (Foggia, 1988)


DIARI INTIMI

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