Esplode tutto.
La voglia di aria – così a lungo compressa, ridotta, liofilizzata – deflagra repentina, tanto da cogliermi impreparato come l’ignara vittima di un attentato.
Un attimo fa era inverno. Stamattina abbiamo chiuso un capitolo, una specie di festa mesta – ma pur sempre una festa – il gruppo degli invitati si è scompattato, la vita tenta rovinosamente di tornare a una normalità impossibile, irraggiungibile.
Dopo pranzo, poi, la rivelazione quasi inaspettata: se ieri era inverno, oggi no. Oggi è estate. Come se il cielo, là fuori, abbia aspettato il momento giusto per rivelarsi, rimanendo nell’angolo fino a quando farlo non poteva sembrare del tutto inopportuno: una sorta di rispetto tacito del dolore.
E io mio ritrovo a fantasticare, di domenica pomeriggio, nel reparto campeggio di un Decathlon, come un qualsiasi mediocre frequentatore di centri commerciali.
Sognare quell’aria che non so più come si respira.
Dovrò riabituarmi: sarà un processo lungo e doloroso.
Ecco: chi l’ha detto, alle nuvole lassù, che una settimana potesse essere un tempo sufficiente da attendere per poi dileguarsi di nuovo e lasciarci in preda ai colpi implacabili di una calura tanto attesa quanto temuta?
Là fuori, da oggi, è estate, che mi piaccia o no; è bene che me ne faccia una ragione. E mi piace, sia ben chiaro, anche se questa volta non so bene come comportarmi e mi ritrovo impacciato come fossi al primo appuntamento con una ragazza: cosa le propongo di fare? E se non le piace? Posso invitarla già a casa o sarà troppo presto? E se non lo faccio e poi passo per un imbranato?
Là fuori è estate, da oggi, sì. La mia stagione.

Testo e fotografia di Manlio Ranieri

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