Un fotone che tende all’effetto fotoelettrico, ma non ha abbastanza energia per strappare l’elettrone all’atomo. E si chiede poi se quel dualismo onda-particella, quell’affinità elettiva, non era altro che una beffa della fisica quantistica o semplicemente un errore d’interpretazione. Si chiede anche a cosa serve la velocità della luce se si rivela esclusivamente nel  vuoto, dove non ci sono elettroni.  Ed era comunque un rapporto esclusivo: un solo fotone per un solo elettrone. E aveva scelto quel preciso elettrone. Chissà poi di che natura fosse la materia di cui faceva parte, la sua soglia minima d’estrazione. Avrebbe voluto solo portare via quella particella subatomica dal corpo di cui faceva parte. Creare con lei qualcosa d’informulabile, una specie di microscopico universo.

Ennesima metafora vestita d’ infinitesimo. Qualche fascino da nozione esteriore che si mescola al sentire, cercando una qualunque espressione. Il pensiero è immagine che costringe ai passaggi di stato: che non ristagni, né si cristallizzi o disperda. Cerca la breve eternità della messa in opera; chissà che qualche bucaniere non decida di ascoltarlo, subirlo, accarezzarlo… quel suo pensiero metamorfico. Nel fiume d’inchiostro, tra le lacrime a biro, lungo le onde ridenti della retorica. Chissà che qualcuno non sappia il perché della frustata di un cavo spezzato, della pietra che si sedimenta a metà corso, i significati di tutti i no, del moto rettilineo uniforme, delle bambole di stoffa, dei riti che innamorano, di ciò che non c’è ma sembra che ci sia. E gli dica forse quello che ha sempre saputo: bisogna essere pazzi, non sognatori. Perché per certe nature che si sono tuffate nell’oceano del concreto, poi tutto diventa fisico, viscerale. E l’astrazione è un puro gioco d’intelletto, senza referente. Le parole diventano uomini, il tempo carne, e lo spazio sempre angusto. Ma ci vuole un occhio particolare, una profondità abissale, aliena, sola e doppia, come l’urlo con l’eco, la partenogenesi o le stelle binarie. E si, era lui l’out-sider, a detestare il canone, la versione ufficiale, il soma nel Nuovo Mondo. E quel dentro come le groviere, riempirsi di curiosità, domande e risposte, artigianato, grafite, penne bic. Cosa ne sapeva in fondo del calcio, gli stilisti e le cose fighe. Accanto alle nature morte si finisce per avere una certa somiglianza con loro. Invece non era giusto. Era impossibile, non ricordava neanche dove aveva comprato il suo maglione verde. Per lui non aveva importanza. Come tutti gli schermi. Una caccia continua e la saturazione introspettiva. E l’amore, come il fantasma leopardiano che si dissolve. La fiducia di un istante per secoli d’insoddisfazione. Bisogna essere davvero pazzi. E soli. Per restare sulla soglia, in poltronissima gold e comprendere quell’idioma. La dolcezza violenta, una poesia, i flauti-fagotti e vedere l’esatta direzione dell’indice sorpreso, senza giudizio, verso una qualche minuscola meraviglia. E pensare che voleva scrivere di Proust, ma per caso ha incontrato Einstein. Va bene così, nel labirinto di una sera qualsiasi, in un giorno qualunque. A cercare formule matematiche come se da questo dipendesse il destino dell’universo. Cucire un bottone, disegnare un prisma a 64 sezioni.  Il pensiero immaginativo e sincronico. Il pensiero  che impazzisce perché ha perso una bellezza, una fede, qualcosa d’importante.   E deve svolgersi, spiegare le ali, descrivere una parabola che tende a infinito. Slalom, zigzag e parole cacofoniche che vengono da strane lingue consonantiche, quando si vorrebbe restare alle 7 vocali, che poi sono molte di più. E davvero bisogna sputare sugli specchi col sorriso più smagliante e avvolgersi nel grande mantello smarrito dell’umiltà, di fronte al tutto, all’energia vettoriale, alla metrica cesellata, a ciò che sgrana le pupille. Lui doveva vivere di queste grandi cose impersonali, alla scrivania, nei punti morti del quotidiano. Per non morire, trovare qualche nuovo senso nella fotosintesi, al linguaggio, alla crisi globale. Nel trionfo di una piccola vita individuale che non può risparmiarsi, nella brevità di ciò che è concesso. L’impulso del qui ed ora, ne ha viste di notti insonni, non è così istintuale. Per tutto ciò che non ritorna, e avvelena un po’ alla volta o può sbiadire in un solo istante di distrazione. Certe persone vanno abbracciate , certi paesaggi disegnati e viaggi intrapresi, perché poi può essere davvero tardi, si perdono le forze, i punti di partenza, il raggio della visione, le piccole grandi occasioni di vivere veramente. Dovere e volere non dovrebbero essere così confusi, piuttosto propedeutici in qualche modo . E lo sproloquio del pensiero poi arriva al silenzio contemplativo, quando una libertà scivola sui limiti di un’altra, prossima.

E  vorrebbe prestarle i suoi occhi per dirle : “guarda, è incredibile. È osceno. È Bellissimo. È adesso.”

Delia Cardinale

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