Non andava particolarmente fiero di tutto quello che sapeva.

La pletora informativa era un conato dell’horror vacui: apologia della solitudine. Aveva dentro come una collera dalle più oscure ragioni. E, a volte, squarci di quiete e vitalismo. Una mente controversa e il sentire amorfo dei superstiti. La piramide rovesciata delle priorità e un’inspiegabile tensione all’espulsione.

Tutto fuori.

Fuori dalla cassa toracica.

Fuori dalla dura madre.

Usava tutti i modi che conosceva per liberarsi dalle zavorre del sentire:inchiostro di china, acquerelli, urla e osterie.

Neanche il crack aveva funzionato e si era dato alla materia. Amava toccare le cose: botti di rovere e grammofoni, 33 giri e organza. Per questo girava i mercati delle pulci. Immaginava la storia di tutti quegli oggetti, le mani di chi li aveva adoperati, i luoghi da cui provenivano.

Memoria della polvere.

Rottami sopravvissuti all’incedere del tempo, specchi di un’incomunicabile fatica. Nell’ora in cui aveva deciso di spalancare i cancelli del suo personalissimo guscio, aveva relegato ai margini quell’estro visionario, scegliendo quando indossarlo. Aveva due paia di occhiali, forse anche di più, ma non gli importava capirlo. Non sempre distingueva la gerarchia delle cose, i fiori dalle lame. Alcuni gli rimproveravano sussulti di pazzia. Ne sorrideva, in fondo.

La sua vita autentica, dietro le cornee, come un quadro di Dalì, fitto di simboli.

Tutte le donne del passato incoronate e genuflesse. I vizi sfumati e le voglie roventi. Un sentire parabolico a certe frequenze, indifferente ad altre: non poteva scegliere, nè prevedersi. Maledizione da ingranaggi spezzati e coriandoli dispersi. Un cantiere-libreria e la collezione di croci nel cassetto. Quel maledetto cassetto in cuo nascondeva armi bianche e segreti inconfessabili, i capitoli delle sue opere da sempre a metà. Ne aveva di cose da raccontare, ma le parole si spezzavano sulla carta frustrando le aspettative. Vagabondo per le vie di una qualunque città elemosinava ispirazione: il romanzo più bello, il quadro più stupefacente. Poi non voleva separarsi dagli scarabocchi del sentire, rivoli emotivi sfuggiti dalle dita e il terrore di liberarsene, il terrore di condividere. A parlarci, nei bar, sembrava un pescatore. Parlava semplice, come un maestro elementare. Era stanco di corrugare la fronte sulla filosofia: aveva scelto la strada, il vento sulla pelle e la manifattura.

Di quei secoli contemplativi mai trascorsi custodiva le chiavi nei lobi temporali.

Aveva imparato la società.

Delia Cardinale

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