Premessa n.1: un concerto che si conclude con “Festa mesta”, “Sonica” e “Nuotando nell’aria” non può in nessun modo essere brutto.

Premessa n.2: vi apparirà fin da subito chiaro che chi scrive questo post ama i Marlene kuntz per cui sarà difficile, per il sottoscritto, mantenere un punto di vista distaccato. Tuttavia ci voglio almeno provare, e tenterò di spiegarvi con qualche minimo dettaglio asettico perché lo spettacolo messo su da Cristiano Godano e soci è stato davvero pregevole e ti lascia in testa la piacevole sensazione di aver assistito a un evento a cui valeva la pena non mancare.

La band di Cuneo ha sulle spalle più di vent’anni di carriera. In tutto questo tempo ha sperimentato molto ed esplorato diverse sonorità e atmosfere: dal rock-noise degli esordi agli arrangiamenti semi-acustici dello splendido “Uno”, dai tour in locali fumosi, festival o palazzetti ai teatri; è passata da Sanremo senza lasciare il segno – per non aver voluto, a mio modestissimo parere, osare quanto avrebbe potuto fare con una carriera del genere alle spalle – ed è tornata a scrivere dell’ottimo rock – più maturo ma non meno energico – con “Nella tua luce”. Personalmente sono dell’opinione che non abbia mai sfigurato, in tutti questi esperimenti, sebbene alcuni siano riusciti meglio di altri, e che comunque li abbia sempre affrontati con una serietà tale da meritare in ogni caso rispetto e attenzione.

Oggi, a vent’anni dalla pubblicazione di un album che – di fatto e a pieno titolo – è diventato una delle pietre miliari del rock italiano, i Marlene kuntz tornano a suonare le canzoni degli esordi, che li hanno lanciati nel panorama della musica che conta con un ingresso roboante e indimenticabile. La questione che credo sia innegabile per chiunque abbia assistito allo show, è che le canzoni non abbiano perso neanche un grammo di smalto: né nel loro rappresentare, a tutt’oggi, sonorità ancora innovative, né nell’energia dell’esecuzione. Insomma: i Marlene sono ancora giovani e forti, e con questo spettacolo ce lo dicono senza mezzi termini. Non si smette mai di essere rock, se lo si è stati in questo modo così viscerale.

L’idea è quella di ribaltare, nella scaletta, quasi del tutto l’ordine della tracklist del cd originale, infilando a intervalli regolari i brani di Panasonica che appaiono assolutamente allo stesso livello di quelli di Catartica, tanto che ci si chiede secondo quali difficili criteri, a suo tempo, sia stata operata la scelta dei pezzi far entrare nell’album e di quelli da lasciar fuori. Canzoni come “Sig. niente” o “Donna L” non hanno nulla da invidiare alle sorelle che, al tempo, hanno passato la selezione, mentre “Parti” o “Ruggine” appaiono a tratti persino più mature. Quest’ordine funziona, bisogna dirlo, un po’ perché riserva capolavori come “Sonica” e “Nuotando nell’aria” al gran finale, lasciando così un ricordo indelebile del concerto, un po’ perché le energie mentali e fisiche più fresche permettono di godere meglio di bellissime canzoni come “Mala mela”, “1° 2° 3°” e “Gioia (che mi do)”.

Ma l’aspetto principale della serata sta nella tenuta delle canzoni, di chi le esegue e di chi le ascolta da giù perché, diciamocelo chiaro: l’età media del pubblico a ridosso delle transenne non scendeva sotto i 35, eppure il pogo non ha risparmiato nessuno, a conferma di quanto scrivevo poc’anzi: non si smette mai di essere rock, se lo si è stati in questo modo così viscerale.

Buon ventesimo compleanno a Catartica, dunque, che l’età non la dimostra affatto; buon quarantottesimo compleanno a Cristiano (48! Arrivarci, così!) che ieri festeggiava sul palco, e ancora migliaia di questi concerti.

Manlio Ranieri

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