Quindici anni fa non c’era internet, a casa mia. Se dovevo fare una ricerca andavo nella biblioteca del paese e ci restavo tutto il pomeriggio per ricopiare quante più informazioni possibili, prima della chiusura. Avevo il vizio di ritrarre il soggetto della ricerca: fosse un poeta, un popolo o un evento storico. Ricordo ancora quando disegnai con una minuzia maniacale quel villaggio primitivo: minuscole palafitte sul fiume sassoso e piccoli uomini, con piccole lance. Come ricordo la poesia sulla Cicala e la Formica e il compito a casa su quale dei due personaggi preferissimo, noi bambini. Sono stata l’unica a tessere le lodi della Cicala: ne avevo viste così tante rinsecchite, a fine estate, sui tronchi dei pini. Restavano lì come involucri trasparenti naufraghi nella resina, immobili. Avevo letto in qualche libro che le cicale, dopo l’accoppiamento, si lasciano morire di fame. E mi faceva una tenerezza indicibile questa cosa. D’altro canto trovavo la Formica estremamente egoista. E poi le formiche sono tantissime, la cicala, invece, è sola. Secondo me sia Esopo che La Fontaine non avevano capito niente: era questa la mia opinione a dieci anni. Ma d’altronde la distinzione tra giusto e sbagliato o bene e male, per me era difficile da afferrare. L’unica vero spartiacque che riuscivo a riconoscere chiaramente era quello tra naturale e innaturale. Dopotutto sono cresciuta sui miti, non sulle favole. E, per dirla tutta, sentivo la Cicala molto affine alla mia personalità. Non mi è mai piaciuto pianificare o risparmiarmi. La mia estate esplodeva tra le spiagge e i pini marittimi. Preferendo l’intensità dell’attimo alla rarefazione stagionale. Il trionfo pirotecnico dell’essenza alla diluita durata dell’esistenza. Ed è certo più funzionale un formicaio brulicante rispetto ad un canto corale di solisti distanti. Industria versus libera espressione. Ma c’era una poesia nel concerto estivo delle pinete, che tutte le formiche del mondo non avrebbero mai avuto o compreso.

Disegnai sul quaderno a righe una piccola Cicala con mandolino, cappello di paglia e spiga tra le labbra. Un’espressione benevola e sognante.

Fu quello, forse, il mio primo autoritratto.

Sarei stata altro e altro ancora, nel tempo.

Eppure, dopo quindici anni, sento ancora, nel petto, quella piccola Cicala canterina.

Delia Cardinale

 

Alla formica (Gianni Rodari)

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.

 

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