Si può essere da soli in fila indiana? Col braccio rasente pietre secolari, poi il recinto di grilli legnosi e smorte luci d’arancio, alle spalle di un castello medievale. Lasciti del Barbarossa lungo i crinali di questa terra dolente. Sussurri sanniti e fuoco greco. Roma vittoriosa, menorah e saraceni. Arbish e paleocristano. Draghi longobardi e danze balcaniche. Donne turche e normanne con lo stesso abito tradizionale. Ancora si sente l’ululato del lupo tra pini loricati e pioppi bianchi, l’augurio rapace del gufo reale in caccia e il trotto rovinoso del cinghiale. Tra questi boschi montani, covi di briganti e tesori sommersi: orgoglio sanguigno e natura ospitale. Terra di sorgenti e oro nero. Zolfo, tufo e pietra calcarea. E calanchi d’argilla riarsa come il volto rugoso della luna. Mandrie al pascolo senza guida, vimini e terracotta. Ha forse avuto qui i natali Robin Hood: tanti gli eroi, troppi i martiri di nostra signora libertà. Isola rossa d’ideali, ermetica e polverosa, contesa, dilaniata, offesa e dimenticata. Diamante grezzo sepolto nell’indifferenza di un’Italia che guarda al Nord Europa (mica al Nord Africa). E noi siamo mezzi cartaginesi e mezzi turchi. Una regione senza Dio, ma piena di Madonne. Ci sono ancora gli sciamani  e la cabala, il malocchio e le benedizioni. Due strisce aperte sul mare  e tutto un groviglio di monti e vallate riluttanti al forestiero. Terra di superstizioni e leggende, a metà tra Occidente e Medio-Oriente. S’incontra il Kohlaas di Von Kleist, in certi paesini, che giura di trovare le criniere dei cavalli tutte intrecciate e poi si ribella al potere perchè è giusto che lo paghino. Trovi qualche Don Chisciotte intriso di bovarismo, le seduzioni di Morgana e la barbarie di Medea. Trovi un Lot da salvare e piccoli Davide con la freccia in tasca. Una Semiramide da accusare e Catone col dito puntato. Saladino e Temistocle, Bucefalo impazzito e le streghe voodoo. Arieti senza corna, ferri di cavallo e peperoncini dietro le porte. Qualche donna poeta morta d’ingiustizia e tutto uno splendore trascorso: dalla Magna Grecia alle Due Sicilie, dalle pitture rupestri alle querce secolari. Pochi abitanti e molti viaggiatori che il moderno porta lontano. Terra da abbandonare per poi stupirsi, ad ogni ritorno. Una quiete qui… di tribù e monasteri. Un tuffo nei primordi dell’umano dove l’essenziale divora il superfluo, come tornando da forme plurime ad un’unica e semplice sostanza.

Una terra, la mia, dal sapore di tempi perduti: un’isola che non c’è dove si fermano gli orologi.

Delia Cardinale

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