“Temetemi, lestofanti e assassini, così mi sentirò amata. Distribuendo il fato per un bene superiore che voi esseri mediocri non potete comprendere! Di una luce rovente e giusta, i miei dardi per la vostra miseria. Divoro la gratitudine degli oppressi nelle alcove…e lì qualche Ninfa dei boschi conosce il ciglio disteso e una pace divina. Raminga per il mondo rispondo al dolore di chi m’invoca, nella costernazione dell’umano limite e della più commevente umiltà: non ascolto gli spergiuri di vendetta, ma la non pretesa del lamento che silenzioso s’espande e non chiede altro se non l’esprimersi. In questi luoghi sorgo terribile da levante, spada tratta e guerra negli iridi: che le offese al mio nome bagnino col sangue queste labbra contrite!”

Irrompe il canto di Nemesi altissima, dalla rupe del tormento: inciso il suo magistero nel vento, mentre Eco langue ancora lungo i crinali, per un amore respinto. Eppure la dea ha punito Narciso, reo di sdegno e superbia, lasciando sul ciglio del rivo un fiore per sua madre.

“La bellezza non è degli occhi, come può esserlo l’amore?” si ripete Nemesi affranta ed Eco piange.

“Oh dea della compassione, perchè stringi i pugni?” chiede una voce dall’ombra della grotta, alle spalle della rupe.

“Chi sei tu che osi disturbare nel bel mezzo della mia opera? Rivelati!” ribatte la dea colta alla sprovvista.

“Mia Signora, non posso rivelarmi. Questo non è il mio tempo: ti guardo per fare pratica delle cose umane che non comprendo. E un giorno sarò uomo tra gli uomini! Proverò a continuare l’opera tua nobile e altissima. Ti sento soffrire dea…parlami…”

“Amico dell’ombra, ti credo. So che l’immortalità è un’illusione! Invero mi sento morire… come posso esercitare una giustizia così dolorosa? Dono agli esseri un equilibrio che essi non possono afferrare, tolgo per dare e in ogni caso il mio nome s’infanga! Trascorrono pochi secoli e mi muoiono accanto i credenti, tant’è che per alcuni già sono infernale e cattiva…” risponde Nemesi mesta.

“Eco si strugge. La sento…so che hai messo ordine nel cosmo, ma lei non può vederlo! Placati, dea. Sei troppo umana per il governo dell’umano.” dice pacata la voce.

“Lo riconosco, Signore, morirò presto dello stesso dolore che vado distribuendo, in lungo e in largo, per servire un esercito d’idee che una qualche forza m’ha riposto in grembo…”

“Domani sarò al tuo posto e mi uccideranno. Verrai con me quando tornerò a chiamarti? Osserveremo, un giorno, questo misero universo da altri cieli e niente ti toccherà. L’era di Taurus lascerà il posto a quella dei Pesci: la mia. L’umano si mangerà la coda con l’Acquario e noi, figli del cielo, saremo altrove a riposare. Hai agito bene, dea…ma la radice di questa razza maledetta è un rizoma inestricabile, non ti pregheranno più di qui a cent’anni. E il tuo nome sarà associato a quello del tuo nemico.” la voce tace.

“Ora ti riconosco, Ombra di una Luce che desidero più d’ogni altra cosa. Non verrò meno alla mia opera finchè non tornerai. Allora lascerò questi luoghi donandoti scettro e spada. Che gli uomini restino al buio tra le rivelazioni. Nostro è l’occulto.”

Delia Cardinale

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