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Andy Rocchelli era un talento vero. È morto a 30 anni mentre si trovava a Sloviansk, in Ucraina, a documentare con le sue foto gli scontri tra i separatisti filorussi e l’esercito di Kiev.
Rocchelli ha costruito la sua passione per il reportage investendoci tutta la sua vita. Per finanziare i suoi reportage in Russia, a cui teneva moltissimo, faceva anche lavori commerciali, più facili e redditizi. Anche questo faceva parte della necessità di “adeguarsi ai tempi” di cui aveva parlato in un’intervista. Provare a guadagnare con ciò in cui non ci si riconosce per finanziare ciò che si ritiene invece importante.
Nel 2009 aveva fondato, insieme ad alcuni colleghi, il collettivo fotografico Cesuralab, per produrre progetti fotografici indipendenti. La sua pagina goo.gl/9fTR04raccoglie lavori importanti, in Italia e all’estero.
Le sue foto non sono urlate, non cercano la sensazionalità, non mirano a riempire portfoli violenti attira-click. Per questo, forse, il suo lavoro era ancora più necessario.
Guardate la foto dei bambini ucraini nascosti nella buca, un rifugio antibombe improvvisato, con le conserve sugli scaffali. In questo scatto i protagonisti sono gli occhi, che lasciano trapelare la paura, l’assenza d’aria, l’attesa.
La morte di Andy Rocchelli ha fatto conoscere i suoi lavori al grande pubblico. E questo ne aumenta il dolore, perché spesso i talenti migliori restano relegati ai margini facendo un lavoro profondo, complesso, non semplificabile.
È morto ucciso da un colpo di mortaio. È morto insieme al suo interprete, Andrei Mironov: attivista per i diritti umani, Mironov era stato deportato come dissidente in un gulag nel 1985, era oppositore di Putin e uomo di pace. È morto per raccontare l’Europa, un’Europa che sembra aver dimenticato che c’è una guerra alle sue porte.

(Roberto Saviano)

 

 

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