Pesava come un macigno l’aria sul dorso slanciato dell’airone: era in viaggio da giorni. Quasi immota macchia bianchissima nell’ascensione celeste, un crocefisso d’avorio sul petto del firmamento. Ali spiegate nell’azzuro e dietro l’apparente levità un’immensa stanchezza. Dall’imo terrestre un riflesso adamantino accecò per un istante questo principe dei nembi: un piccolo stagno cinto di smeraldo invitava suadente al riposo. L’airone, planando sul canneto dorato che ne lambiva le rive, decise di sottrarsi al volo per un po’: doveva rifocillarsi per continuare la migrazione.

“Come sei bello!” disse un giacinto d’acqua vedendolo.

“Sono molto stanco…ho visto troppe albe e tramonti da che sono partito!Non devo avere un così bell’aspetto..e la strada è ancora lunga” rispose tristemente l’uccello.

“I fiori non mentono. Dove vai a svernare, soave creatura aerea?”

“Vado in Africa. Noi migratori seguiamo sempre il sole e laggiù è così grande in questo periodo dell’anno!” disse l’airone guardando commosso l’orizzonte.

“Parlami dell’Africa…” chiese stupito il giacinto.

“In Africa ci sono grandi fiumi che rallentano in anse dolcissime, l’acqua s’impiglia alla terra e allaga le pianure. Uccelli da ogni parte del mondo, colorati come gli arcobaleni, si riuniscono in enormi colonie danzanti. E le dita bionde di quel sole immenso accarezzano piante e animali. Anche gli uomini lì sembrano meno cattivi: ridono e cantano con le loro donne, rispettano il cielo e la terra come tutte le creature. Questa mia Africa è come scoprire la verità dell’essenziale dopo una stagione di menzogne, come ascoltare il canto più profondo della natura che sfalda le zavorre dell’artificio: tutte le difese, i vizi e le prigionie individuali in nome di un’apertura al sentire collettivo…fossero tutti quegli esseri raminghi tessuti pulsanti di uno stesso dimenticato e meraviglioso organismo. Tra colori e profumi mi sono scoperto, celebrato, schiuso all’alterità e alla comunione: ho trovato la mia compagna e condiviso con lei lo stesso respiro, la stessa verità. Nella mia Africa si fa sempre l’amore…” spiegò l’uccello innamorato.

“Deve essere il paradiso!” esclamò il giacinto come bevendo dagli occhi dell’airone.

“E tu non sverni?” chiese lui.

“I fiori non volano. Specie gli idrofiti come me. La mia vita è tutta in questo stagno!” rispose il giacinto

“Mi dispiace! Deve essere noioso!” soggiunse il volatile.

“In verità mi sento fortunato. Guarda i giunchi e le ninfee: loro hanno lunghi rizomi ancorati al fondale. Le mie radici invece sono libere! Se il vento mi è amico posso vedere tutte le rive, parlare con le capinere e le lenticchie d’acqua, chiedere al pioppo bianco come ha passato la giornata, scoprire, stupirmi, innamorarmi…” rispose il fiore con orgoglio.

L’airone pensò che il giacinto non poteva scegliere dove andare, ma non glielo disse.

Il fiore continuò a parlare…

“Oggi sono stato in un posto… non c’ero mai stato prima…un posto bellissimo”

“E dove?” Chiese l’airone sorpreso.

“Nella mia Africa.”

 

 

Delia Cardinale

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