E ti ritrovo così, sui dorsi liquidi di altre apnee, lontane da quei gorghi lontani: profondi recessi di un passato denso, torbido, incantevole…hai dimenticato così tante cose, mentre la mia memoria è sangue che non coagula, nonostante il torpore dei veleni e il caos quotidiano…con gli stivali delle sette leghe faccio del tempo un regno ricorsivo in cui sfilano demoni e fate, promesse infrante, stoppini fumanti, tutte le vie di Parigi…non ho più disegnato ginecei, nè draghi o nudi alati…riesci ancora a mordermi la gola, vampiressa di una Valacchia edenica, spossata dal peccato originale…quei serpenti della conoscenza come tenia viscerale a corroderci dall’interno…e una qualche vana cura, briglie metalliche, anni spesi a migliorarci… le tue mani sottili sul volante, fluide, dipinte ad olio nel ricordo… e il tuo dispiacere come una ferita infetta e pulsante sulla mia pelle, i tuoi silenzi pensosi verso il tramonto un nodo da sciogliere per i pirati della mia mente che ti contempla… eppure il tempo non ha inciso crepe sul tuo volto amato, oltre l’immagine filigrane rattoppate forse, come le mie cicatrici… tutti gli sbagli del nostro viverci esclusivo e la conferma atroce del tuo essere sempre e comunque imparagonabile…una luna immensa tra miriadi di stelle puntiformi, insignificanti ai miei occhi cattivi… qualche forma d’amore l’ho pure vissuta, ma niente di così dolcemente devastante, per sfortuna o fortuna non saprei dire… Ogni cosa ha il suo tempo, nei nostri secoli da effimere sui fiumi freddi del Nord Europa… Ti ho vista recidere lacci d’intricate prigionie, liberarti da enormi macigni e nonostante questo il tuo sguardo ha la consistenza ambigua delle nubi prima di un temporale…tempo fa, nell’occhio del ciclone, disegnavi pur sempre il sole…e adesso? Hai creato tutto un mondo e ancora non ti basta…ci sono forse altre catene e credi di aver perso le forze…spezzale come solo tu sai fare, come mi hai insegnato anni fa… La mongolfiera non può spiccare il volo senza liberarsi dalle zavorre che la costringono a terra: lascia cadere dal tuo nido ogni peso, ogni eccesso gravitazionale e spiega le ali…ti raggiungerò forse un giorno: devo ancora sfilacciare corde e uccidere, seppellire, pregare…lo sai. Lo so. E questa mia solitudine una specie di voto dolente da cui non so evadere: non ne vale la pena all’oggi, nè mai ho più rimesso l’anima in mani altrui. Abbraccio con gioia ogni giorno, studiando un modo per spezzare queste sbarre. Ci sarà qualcuno che mi presterà una lima, la soda caustica, addirittura le chiavi o più probabilmente da sola, con l’ariete caparbio del volere, vivrò quell’oltre di cui tu già godi gli avamposti. È stato come sempre fiabesco viverti e come sempre l’emozione più indicibile…

Con tutto l’amore di cui sono capace…

 

Delia Cardinale

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