Pasolini e la Tuscia, un rapporto molto stretto sia dal punto di vista professionale che umano: la nostra terra infatti non solo fa da sfondo a molte importanti pellicole del grande regista (basti citare “Uccellacci e Uccellini” e “Il Vangelo secondo Matteo”), ma proprio qui, a Chia, presso Soriano nel Cimino, lo scrittore e poeta decise di venire a vivere, in quella torre medievale isolata in mezzo alla campagna che elesse a suo buen retiro e che facilmente possiamo ammirare transitando sulla superstrada Viterbo-Orte.

E proprio Orte Pasolini volle celebrare come modello esemplare di struttura urbana in un raro documentario trasmesso dalla Rai il 7 febbraio 1974. La trasmissione apparteneva alla serie “Io e…” ed era intitolata “Pasolini e… la forma della città”, per la regia di Paolo Brunatto.

Qui di seguito è trascritto il testo integrale del film La forma della città dedicato da Pasolini alla città di Orte

PASOLINI (con una telecamera e rivolto a Ninetto)  Io ho scelto una città, la città di Orte, cioè praticamente ho scelto come tema la forma di una città, il profilo di una città. Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto un’inquadra­tura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta, assoluta, ed è più o meno un’inquadratura così… Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa, ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo. C’è quella casa che si vede là a sinistra, la vedi? Ecco, questo è un problema di cui io parlo con te, perché non sono capace di parlare in astratto, rivolto al vuoto, al pubblico televisivo che non so dov’è, dove si trova. Parlo con te che mi hai seguito in tutto il mio lavoro e mi hai visto molte volte alle prese con que­sto problema. Tante volte sono andato a girare fuori dall’Italia, in Marocco, in Persia, in Eritrea, e tante volte avevo il proble­ma di girare una scena in cui si vedesse una città nella sua com­pletezza, nella sua interezza, e quante volte mi hai visto soffrire, smaniare, bestemmiare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualco­sa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c’entrava con questa forma della città, con questo profilo della città, così severo.
Siamo adesso di fronte a Orte da un altro punto di vista. C’è la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rina­scimentale. Se la inquadro, vedo un totale ancora più perfetto di quello di prima. Cioè la forma della città è proprio nella sua perfezione massima. Ma se panoramico da sinistra a destra, quello che ti dicevo prima risulta in modo ancora molto più grave. Infatti la città, dal nostro punto di vista all’estrema destra, finisce con uno stupendo acquedotto su quel terreno bru­no. E immediatamente attaccate all’acquedotto ci sono altre case moderne, dall’aspetto non dico orribile, ma estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione; insomma case popolari, che sono assolutamente necessarie, non dico di no, ma che lì sono un altro elemento disturbatore della perfe­zione della forma della città di Orte, come la casa che abbiamo visto prima. Ora cos’è che mi dà tanto fastidio, anzi direi quasi una specie di dolore, di offesa, di rabbia, nella presenza di quelle povere case popolari, che comunque devono esserci? Il problema era semmai quello di costruirle da un’altra parte, in­somma, di prevedere di poterle costruire da un’altra parte. Dunque, che cos’è che mi offende in loro? E il fatto che appar­tengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completa­mente diversi da quelli dell’antica città di Orte e la mescolanza delle due cose infastidisce, è un’incrinatura, un turbamento della forma, dello stile.
Questo io forse lo soffro in modo particolare, non soltanto per­ché ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da anima bella, ma anche perché ho tanto lavorato su dei film storici, in cui questo problema era proprio un problema pratico. Perché questo non è un difetto solo italiano, ma è un difetto di tutto il mondo ormai, soprattutto del Terzo Mondo. Non so, per esem­pio in Persia, dove c’è un regime completamente diverso dal no­stro, dove c’è una specie di imperatore, lo Scià, lì succedono le stesse cose, forse ancora peggiori. Per esempio, mi viene in men­te una stupenda città che si chiama Yazd, sul Golfo Persico vici­no al deserto, una città meravigliosa perché tutte le città aveva­no un sistema di ventilazione antico, di due, tremila anni fa, che era rimasto intatto: delle colonnine che raccoglievano il vento e lo facevano entrare dentro la città. Quindi il panorama della città era dominato da questa specie di ventilatori che sembrava­no un po’ dei tempietti greci arcaici o egiziani, insomma, una cosa stupenda. Beh, questa città, quando sono arrivato lì io, era distrutta, come se ci fosse stato un bombardamento a tappeto. Lo Scià la faceva distruggere per dimostrare ai suoi sudditi, al suo popolo, che la Persia era un paese moderno, che avanzava, eccetera eccetera. Ma questo succede anche in paesi che sono esattamente il contrario della Persia, cioè in paesi comunisti: lo stato dell’Aden del Sud, lo stato di Aden, dove c’è al governo addirittura un gruppo di comunisti estremisti. Bene, lì, c’era un’antica città sul mare che si chiama Al Mukalla. Questa città di Al Mukalla aveva verso la terraferma una stupenda porta, gigantesca, di granito, bianca come tutto il resto della città. Ora siccome an­che ad Al Mukalla un pochino il traffico è aumentato, dopo la liberazione dello stato di Aden dagli emiri eccetera eccetera, c’era qualche furgone in più e la porta era stretta, cosa hanno fatto? L’hanno fatta saltare, ed erano fieri di aver fatto saltare questa stupenda porta. Dicevano addirittura con grande fierez­za «la rivoluzione ha liberato Al Mukalla da questo ingombro del passato». Senza parlare di Sana’a, ti ricordi? Quella stupen­da città dello Yemen del Nord posata sul deserto come una specie di rustica Venezia, che stanno già distruggendo, hanno già praticamente finito di distruggere tutte le mura che la ci­condavano e quindi davano la sua forma, quella assolutezza meravigliosa delle città antiche.
Oppure nel Nepal, che è effettivamente ancora molto intatto, soprattutto la città di Bhatgaon, è ancora quasi com’era tremila anni fa, però Katmandou è già praticamente distrutta in quan­to forma, rimangono i monumenti, ma non è dei monumenti che si tratta, non son quelli il problema, quelli è facile salvarli, è l’intera forma della città che è difficile salvare. Dunque questo è un problema che si pone in tutti i paesi del mondo, ma naturalmente ciò che mi turba e mi ferisce di più è che questo avvenga in Italia.
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