Altalena instabile in moto rettilineo difforme,asimmetrica parabola nello spazio che descrive senza posa antinomiche traiettorie tra sesso e castità, sensismo e catatonia, putredine e vitalismo, delirio e raziocinio, vizio e virtù…avere due tasche significa confondere acqua santa e pistole, santuario e catacombe, cielo e terra come respirando un fumoso e perenne orizzonte percettivo: l’estremo avamposto prospettico che vota all’entropia il paesaggio, sfaldando i piani visivi che sfuggono il naturale angolo di rifrazione. E indossò, figlia illegittima del Sehnsucht, vestiti a rovescio e fede sfrenata…sciolto il rimmel non resta che un sorriso spento da pierrot. Per questo il risveglio dopo un eccesso è più atroce dell’ago sottopelle: la lucidità senza filtro alcuno scopre bipolarismi nevralgici in una personalità austera. Monaca e puttana. Lei disegna fitti steccati su carta scadente, promettendosi, ogni volta, di non oltrepassarli. Limiti auto-imposti di un’anima troppo sottile per durare e troppo spessa per non accorgersi della sua effimera e spietata consistenza. Le piaceva fare un solco sulla sabbia con la stecca dell’ombrellone e correre davanti a tutti, da bambina. Così sarebbe stata libera di scegliere dove fermarsi sapendo che l’avrebbero ritrovata, sempre. Hansel e Gretel in un corpicino così piccolo, pensava sua madre. Ma non aveva visto che tra le costole della piccola una strega carnivora costruiva fondamenta di marzapane. Sarebbe stata così lodata e splendida Charlotte, così precisa e matura. Donna-bambina con la testa sulle spalle, valori biblici sui quaderni delle elementari. Ma le costava così tanto quell’irreprensibile maschera di perfezione che ben presto sentì la necessità di vomitare l’acido lattico accumulato tra le pieghe dell’anima: tutto il suo innocente disgusto. Con gli altri una madonna, dentro una bestia indomabile. Mangiava le formiche quando nessuno la vedeva o staccava le antenne a quelle operose creature per vederle attanagliarsi una con l’altra,fino a morire-microscopica e disperata lotta greco-romana sul ciglio del marciapiede. Si arrotolava le maniche della maglietta per picchiare gli altri bambini solo perchè per lei erano stupidi e mucosi. Uscita dalla gabbia dorata di casa sua, valicato il buonsenso e la convenienza, si sfilava la gonna e il fiocco. Qualcuno la vedeva correre in mutande sull’erba,come una piccola e spettinata amazzone- con un bastone per spada e lo spirito battagliero del soldato. Forse già sapeva che di lì a qualche anno avrebbe dovuto uccidere il suo personalissimo drago- il mostro che le graffiava le viscere forse già dalla culla. Il fatto mostruoso quando qualcuno l’adescò con una video-cassetta di Ariel che non era Ariel e poi con i gatti- sapevano che lei li amava. Bruciante onta per una guerriera onnipotente. Da allora i giochi più belli li faceva da sola, Charlotte. E collezionava cavalli di plastica dopo aver letto I viaggi di Gulliver. E poi ci sarebbero stati aghi,pillole e cartoni. Troppi uomini, troppo caos. Calze a rete-bugie-lividi-strade di periferia. Luci psichedeliche e un’insana assuefazione al dolore. La strega aveva rinchiuso la bambina già all’ingrasso. Succulento pasto che aspettava la mannaia. Eppure,nonostante tutto, Charlotte fuggì dal mattatoio con la sola volontà di farlo…lasciando il corpo in sacrificio al suo aguzzino e le catene intatte. Non che il peso di una nevrosi non l’accompagni sempre, ora che è grande…non che il fascino per la perdizione non la trascini in qualche gorgo. Deficit molecolare nel cervello a cui sopperisce una pseudo-chimica di strada. E tutto il peso del trascinarsi tra paure, traumi e verità la consegna all’insonnia del pensiero. Terrore da vincere: guardarsi allo specchio senza sputare. Donna tradita, violata, mercificata, in frantumi su Via del campo, mentre ancora vibra nell’aria notturna un pianto di bambina.

© Delia Cardinale

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